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Outlook macroeconomico di metà anno

La risposta delle politiche globali potrebbe rivelarsi inefficace?

John Butler, Macro Strategist
Eoin O'Callaghan, Macro Strategist
6 min di lettura
2026-06-30
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Le opinioni espresse sono quelle degli autori alla data di redazione. I singoli team di gestione possono esprimere opinioni differenti e prendere decisioni d'investimento diverse. Il valore finale dell’investimento potrebbe essere superiore o inferiore a quello dell’investimento iniziale. Eventuali dati di terzi utilizzati nel presente documento sono considerati affidabili, tuttavia non è possibile garantirne l’esattezza. Destinato esclusivamente a investitori professionali.

Punti salienti

  • Il crescente protezionismo statunitense sta amplificando molte delle caratteristiche distintive della nuova era economica: accelera la deglobalizzazione, peggiora il trade-off tra inflazione e crescita, e aumenta i premi al rischio e i rendimenti globali. Nel tempo, l'agenda "America First" dovrebbe determinare una riallocazione strutturale dei flussi globali di capitale, allontanandoli dagli Stati Uniti.
  • La risposta dei decisori politici a questi sviluppi contribuisce ad accrescere ulteriormente le pressioni inflazionistiche di natura strutturale. L’anno si era aperto con condizioni macroeconomiche sorprendentemente favorevoli. Da allora, la risposta dei decisori politici allo shock tariffario è stata quella di introdurre nuove misure di stimolo. 
  • Se l'incertezza sul fronte commerciale dovesse ridursi, verrebbe meno un rischio di coda negativo e potremmo assistere a una marcata riaccelerazione dell'inflazione globale. Nel breve termine, questo favorirebbe la crescita nominale, ma potrebbe cogliere le banche centrali in fallo, con politiche monetarie troppo espansive. Uno scenario di questo tipo consoliderebbe un’inflazione strutturalmente più elevata e, in ultima analisi, aumenterebbe la probabilità di un ciclo di espansione-recessione. 
  • Se, diversamente, l'incertezza attuale innescasse un aumento sostenuto della propensione al risparmio da parte dei consumatori, potremmo andare incontro a una recessione globale e a una crescente attenzione verso la sostenibilità del debito sovrano. 

Amplificazione di due temi chiave

Negli ultimi anni, la ricerca macroeconomica del nostro team si è basata su due temi chiave.

  1. L'economia globale sta diventando meno integrata, con ostacoli maggiori ai flussi transfrontalieri di manodopera e capitali e pressioni crescenti sulle catene di fornitura. 
  2. I responsabili politici sembrano sempre meno disposti a sopportare il costo politico necessario per riportare in modo sostenibile l’inflazione verso l’obiettivo.

L’interazione di questi trend sta ridefinendo lo scenario macroeconomico, portando a un'inflazione più alta e volatile, a cicli economici più brevi e meno stabili, e a premi al rischio e rendimenti strutturalmente maggiori.

Abbandono del manuale del dopoguerra

Questi due temi stanno ora subendo un'amplificazione a causa del disimpegno degli Stati Uniti dalla guida dell’ordine monetario ed economico del dopoguerra che essi stessi avevano contribuito a creare, nel tentativo di attuare l’agenda “America First” dell’amministrazione Trump. Questo allontanamento dai principi di libera circolazione di beni e capitali genera incertezza economica, politica e geopolitica. Qualunque sia l'esito delle trattative commerciali in corso, il principale consumatore al mondo rischia di ritrovarsi con il livello effettivo di dazi più elevato dagli anni Trenta sulle importazioni dai propri partner commerciali. A nostro avviso, questo si tradurrà in: 

  • un’accelerazione della deglobalizzazione, con un calo persistente del rapporto tra commercio e produzione di beni, invertendo un trend trentennale;
  • un freno strutturale alla crescita, in particolare per gli Stati Uniti. Un livello effettivo di dazi tra il 10% e il 15% avrebbe un impatto più marcato sulla crescita USA rispetto al resto del mondo, trattandosi di fatto di una tassa sui consumatori statunitensi;
  • nel tempo, uno shock negativo lato offerta per tutti, a causa di catene Di fornitura meno efficienti e più costose; e
  • nel lungo termine, una riduzione dei flussi di risparmio globale verso gli asset finanziari statunitensi, con una crescente riallocazione di capitale verso altri mercati.

Reazione della politica ed effetti collaterali

La risposta dei decisori politici a questi sviluppi contribuisce ad accrescere ulteriormente le pressioni inflazionistiche di natura strutturale. 

In primo luogo, i governi continuano ad allentare la politica fiscale. Forse il dato macro più rilevante degli ultimi cinque anni è stata la riluttanza quasi generale, in particolare tra le economie avanzate, a ridurre i disavanzi fiscali, nonostante la forte crescita nominale e la disoccupazione ai minimi storici. Tassi di disoccupazione bassi (e crescita nominale elevata) dovrebbero normalmente tradursi in una riduzione dei deficit fiscali, grazie alle maggiori entrate. Tuttavia, negli ultimi anni, i Paesi non hanno permesso che ciò si realizzasse. Al contrario, i governi di tutto il mondo hanno speso questi margini ciclici. 

Ora, ancora una volta, i governi rispondono a uno shock "negativo" lato offerta e geopolitico con un nuovo allentamento fiscale (Grafico 1), che secondo le proiezioni si tradurrà nel più significativo allentamento fiscale dal 2010, con l'ovvia eccezione della pandemia da COVID. Tra gli aspetti positivi, le misure di stimolo introdotte in paesi come Germania, Giappone e Cina dovrebbero sostenere la domanda interna e contribuire a riequilibrare gli squilibri globali, ma il prezzo potrebbe essere un’inflazione strutturalmente più elevata. Diversamente dal 2010, quando l'economia globale presentava un ampio margine di capacità inutilizzata e segnali evidenti di crisi (tasso di disoccupazione elevato), l’attuale allentamento fiscale si innesta in un contesto di disoccupazione vicina ai minimi degli ultimi 40 anni e inflazione core ben al di sopra dell'obiettivo.

Grafico 1

Grafico banche asset-sensitive

In secondo luogo, anche la politica monetaria globale si sta orientando verso un allentamento. Sebbene la Federal Reserve statunitense sembri restia a tagliare i tassi a causa del potenziale impatto inflazionistico dei dazi e di un’agenda "America First" espansiva, il resto del mondo ha già iniziato a ridurre i tassi, mentre il Giappone ha interrotto il proprio ciclo di rialzi. Il risultato è che i tassi delle politiche globali sono ora nettamente inferiori al tasso di crescita nominale del PIL globale. Nonostante le affermazioni contrarie delle banche centrali, prima dello shock dei dazi non era affatto chiaro che l’impostazione della politica globale fosse restrittiva. Oggi lo è ancora meno.

Il comportamento dei risparmiatori sarà determinante per comprendere gli esiti possibili

La risposta della politica in atto sta infatti gettando ulteriori basi per un’inflazione strutturalmente più elevata. 

La rapidità con cui ci confronteremo con questo scenario dipenderà dall'entità dello shock commerciale e di incertezza proveniente dagli Stati Uniti. L’amministrazione Trump ha minato la fiducia a tal punto che il settore privato manterrà livelli di risparmio più elevati a titolo precauzionale nel prossimo futuro? Oppure il progredire verso alcuni accordi commerciali e una riduzione dei dazi sarà sufficiente a ripristinare la fiducia e sbloccare la spesa rimasta in sospeso? Riteniamo che si profilino due possibili esiti:

  1. Se famiglie e le imprese risponderanno aumentando il risparmio, le ulteriori misure di stimolo fiscale e monetario si riveleranno probabilmente inefficaci. Il settore privato continuerà ad accumulare risparmio, con la recessione globale come esito più plausibile. In questo scenario, gli investitori inizieranno a porsi interrogativi sempre più scomodi sulla solidità creditizia dei Paesi sovrani più indebitati. 
  2. Se, al contrario, l’incertezza iniziasse a diminuire nei prossimi mesi, il focus si sposterebbe sulle misure di stimolo di politica economica e sulle loro conseguenze.

Nel complesso, questo secondo scenario appare al momento il più probabile, il che significa che con il venir meno dell’incertezza, ci troveremmo di fronte a catene di fornitura più costose e meno efficienti, ma con politiche espansive ancora orientate a sostenere la domanda. In tale contesto, ci aspettiamo una riaccelerazione della crescita nominale e una nuova risalita dell’inflazione, già su livelli elevati, con banche centrali colte in fallo, con politiche monetarie troppo espansive. Il dibattito sui tassi d’interesse nella seconda metà dell’anno potrebbe allora spostarsi su quando le banche centrali inizieranno a invertire i recenti tagli. 

Una politica espansiva accompagnata da una crescita nominale sorprendentemente alta potrebbero dare l'illusione di stabilità. Ma, in realtà, questo ci condurrebbe verso un contesto macroeconomico molto più instabile, con cicli di espansione-recessione più ravvicinati, tanto che le politiche attuali dovrebbero essere invertite. Dal punto di vista politico, è improbabile che ciò avvenga sul fronte fiscale. Toccherebbe dunque alle banche centrali intervenire. Un loro mancato intervento porterebbe a un’inflazione più radicata, tassi di lungo termine più alti e, in ultima analisi, a un ciclo economico molto più instabile. 

Gli sviluppi dei prossimi sei mesi potranno darci un'idea più precisa sulla direzione di marcia. Nel frattempo, riteniamo che sia importante che gli investitori mantengano una mentalità aperta e siano pronti a cambiare direzione, mitigando al contempo l'incertezza. 

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