All'inizio dell'anno ho illustrato considerazioni relative al bilanciamento di una prospettiva a lungo termine rispetto alle diverse incertezze che possono emergere nel breve periodo. Tra le questioni monitorate, una delle più rilevanti era la possibilità dell'introduzione di dazi da parte del Presidente Trump, concretizzatasi nel mese di aprile durante il cosiddetto "Liberation Day".
Nel frattempo, alcuni accordi commerciali hanno in parte attenuato il rischio di mercato legato agli allarmismi, ma ora le imprese devono fare i conti con una nuova normalità: i dazi sono ai livelli più alti dagli anni '30 dello scorso secolo. Ad ogni modo, in questa fase, più che l'impatto concreto dei dazi ritengo sia rilevante ciò che rivelano sul mondo in cui operano attualmente gli investitori.
Una nuova realtà per gli investitori
Il 2025 ha confermato la nostra tesi secondo cui stiamo entrando in un nuovo regime di investimento, caratterizzato da maggiore volatilità sul piano macroeconomico, cicli economici e politici divergenti, e governi molto più interventisti rispetto a quanto osservato dal 2008 a questa parte. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un picco di volatilità dovuto non a una recessione o a una crisi bancaria, bensì alle decisioni dell'Amministrazione Trump di rivedere le relazioni commerciali internazionali. Questa tendenza rafforza la nostra convinzione che, oggi, i governi siano attori molto più importanti nelle dinamiche di mercato rispetto agli scorsi decenni.
C'è poi un fattore che complica ulteriormente le cose: non stiamo assistendo a un brusco passaggio da un regime a un altro, ma piuttosto a una confusa fase di transizione, con alcune vecchie regole che rimangono valide anche mentre ne nascono di nuove. Ora che siamo nel secondo semestre del 2025, la vera domanda da porsi è forse: considerando i vari ostacoli lungo il percorso, come ci dobbiamo "evolvere" per affrontare al meglio il nuovo contesto di mercato?
Uso volutamente l'espressione "evolversi" perché credo ci serva un'evoluzione in piena regola. In biologia, quando le condizioni ambientali cambiano, le specie devono adattarsi. Parafrasando Charles Darwin, non sono i più forti a sopravvivere, ma quelli che si adattano meglio. Nel campo degli investimenti, quando i regimi di mercato cambiano, anche noi ci dobbiamo evolvere - modificando i nostri quadri di riferimento, le nostre ipotesi e i nostri modelli - per garantire una gestione dei portafogli adeguata al mondo in cui viviamo, non a quello in cui vivevamo in passato.
Tre forme di evoluzione degli investimenti
A mio avviso l'evoluzione del contesto di mercato dovrebbe indurre gli investitori a riconsiderare tre aspetti fondamentali: la diversificazione, la generazione di reddito e il rapporto tra mercati pubblici e privati.
Per quanto riguarda la diversificazione, le carte in tavola stanno cambiando. Per molti anni, un'allocazione azionaria incentrata sugli Stati Uniti ha generato ottimi risultati. Ma ora che la narrazione dell'eccezionalismo statunitense è stata messa in discussione, è bene che gli investitori valutino un ventaglio di opportunità più ampio. Anche su questo fronte vediamo opportunità per chi è in grado di adattarsi.
Ad esempio, credo che le azioni europee siano destinate a beneficiare di prospettive fiscali favorevoli e di un rallentamento dell'inflazione, ma forse la vera opportunità sta nell'individuare i settori e le aziende che offrono il maggior valore. Il Giappone è esposto a tensioni commerciali, ma non bisogna sottovalutare fattori strutturali favorevoli come le riforme in corso in materia di corporate governance e i riacquisti di azioni proprie. Ciò non significa che le azioni statunitensi stiano perdendo il loro ruolo fondamentale all'interno dei portafogli, ma occorre forse riflettere più attentamente su tali titoli, ad esempio valutando strategie estese per gli investitori impensieriti dai mercati "concentrati". Queste strategie possono offrire ai gestori la flessibilità necessaria per sottopesare le posizioni in base alle proprie convinzioni piuttosto che alla capitalizzazione di mercato.
Quanto al reddito, è sempre stato un pilastro fondamentale nella costruzione del portafoglio. Vista però la maggiore volatilità dell'inflazione e il contesto di crescita più debole, dobbiamo pensare alla stabilità del reddito. Ciò potrebbe indurre gli investitori a riflettere su come diversificare le loro fonti di reddito guardando oltre le obbligazioni. Può essere utile considerare il reddito in un'ottica multi-asset, includendo fonti sia tradizionali che alternative, come dividendi azionari, cedole obbligazionarie e, potenzialmente, strategie di vendita di opzioni.
Il reddito è un fattore determinante per i rendimenti azionari, in particolare su orizzonti temporali più lunghi. Infatti, mentre su periodi inferiori a un anno le variazioni di valutazione e la crescita degli utili contribuiscono in misura pressoché equivalente, su periodi più lunghi sono i dividendi e la crescita degli utili a fornire l'apporto maggiore, grazie all'effetto del rendimento composto. (Grafico 1).