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Decifrando il contesto macroeconomico – Edizione di marzo 2024

Marco Giordano, Investment Director
2025-04-30
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Le opinioni espresse sono quelle dell’autore alla data di redazione. I singoli team di gestione possono esprimere opinioni differenti e prendere decisioni d'investimento diverse. Il valore finale dell’investimento potrebbe essere superiore o inferiore a quello dell’investimento iniziale. Eventuali dati di terzi utilizzati nel presente documento sono considerati affidabili, tuttavia non è possibile garantirne l’esattezza. Destinato esclusivamente a investitori professionali.

Le determinanti dei mercati obbligazionari nel mese di marzo

  1. Tassi invariati. A parte alcune eccezioni significative, la maggior parte delle banche centrali ha optato per mantenere i tassi invariati nel mese di marzo. La Federal Reserve interpreta i dati sull’inflazione di gennaio e febbraio, entrambi superiori alle previsioni degli economisti, come un’oscillazione di inizio anno. Il FOMC ha intenzione di tenerne conto e prevede che l’inflazione continuerà a diminuire, con i mercati che anticipano tre riduzioni dei tassi entro la fine dell’anno. Dopo l’entusiasmo iniziale da parte del mercato, il presidente Powell e il governatore Waller hanno inviato messaggi più cauti, sottolineando che l’economia statunitense rimane robusta e che eventuali tagli dei tassi devono essere attentamente ponderati.

    Anche la BCE e la Bank of England hanno deciso di mantenere i tassi invariati, mentre la Bank of Japan ha abbandonato la propria politica di tassi di interesse negativi. Inaspettatamente, la Banca Nazionale Svizzera ha sorpreso i mercati con un taglio dei tassi di 25 punti base, convinta che le pressioni inflazionistiche si siano attenuate, provocando un ulteriore deprezzamento del franco svizzero rispetto alle altre valute. Nel corso del mese, Banco de México è stata l’ultima tra le banche centrali dell’America Latina a iniziare il proprio ciclo di riduzione dei tassi, e potrebbe seguire l’esempio di Brasile, Cile e Colombia nel ridurre ulteriormente i tassi di interesse. Questo potrebbe rappresentare un cambio di rotta per il Peso messicano, una delle valute con le migliori performance a livello globale e molto apprezzata dai mercati valutari negli ultimi due anni.
  2. Cambio di politica in Giappone. Come previsto da molti, il 19 marzo la Bank of Japan (BoJ) ha annunciato la fine della propria politica di tassi di interesse negativi, in vigore dal 2016. Questo rappresenta un cambiamento radicale rispetto al suo programma decennale di stimolo per combattere la deflazione. Il primo aumento dei tassi in 17 anni è stato approvato con una maggioranza di 7 voti a favore contro 2. Il policy rate, in precedenza a -0,1%, è stato ora innalzato ad un target tra lo 0 e lo 0,1%. Nonostante si tratti di un piccolo aumento, che difficilmente sarà seguito da una stretta monetaria significativa, rappresenta un cambiamento molto importante in quanto la BoJ era l’ultima grande banca centrale a mantenere tassi di interesse negativi.

    La BoJ ha anche formalmente interrotto il controllo della curva dei rendimenti, pur mantenendo un programma di QE flessibile per garantire la continuità ed evitare un brusco rialzo dei rendimenti. La banca centrale si è impegnata ad acquistare mensilmente di titoli di Stato giapponesi (JGB) per un valore di 6 miliardi di yen (circa 40 miliardi di dollari). Quindi non punterà più a un limite superiore dell’1,0% sul decennale, ma gli acquisiti verranno effettuati ad un ritmo tale da evitare “rapidi aumenti” dei rendimenti. Sebbene queste azioni segnino un distacco dalla precedente leadership del governatore Haruhiko Kuroda e la reazione iniziale del mercato obbligazionario sia stata moderata, il sell-off dello Yen è proseguito e abbiamo assistito a un irripidimento della curva dei rendimenti giapponesi. Dopo aver superato la soglia dei 150, il Ministero delle Finanze e il Primo Ministro hanno indicato la possibilità di un intervento attivo in campo valutario per sostenere la valuta locale.
  3. Resilienza dei dati economici. Negli Stati Uniti, abbiamo osservato un significativo miglioramento dell’indice ISM manifatturiero, che riflette positivamente l’allentamento delle condizioni finanziarie. Nonostante ci aspettiamo ancora un rallentamento del PIL reale, il recente rafforzamento dell’ISM riduce il rischio di una crescita al ribasso. Qualora la Federal Reserve non dovesse attuare i tre tagli dei tassi previsti per il corso dell’anno, questo potrebbe portare a un nuovo inasprimento delle condizioni finanziarie. Perché ciò si verifichi, la Fed dovrebbe osservare che il mercato del lavoro rimane più rigido per un periodo prolungato, indicando che salari e inflazione dei servizi non stanno diminuendo verso il target. L’inflazione nell’area dell’euro si è scesa a un ritmo più veloce rispetto a quella degli Stati Uniti, e i mercati dei futures ora attribuiscono una probabilità maggiore di un taglio dei tassi da parte della BCE rispetto alla Fed nelle riunioni di giugno, rappresentando un cambiamento significativo rispetto al mese precedente.
  4. Paesi periferici europei. Negli ultimi anni, e in particolare dopo lo shock energetico del 2022, l’economia tedesca ha mostrato una crescita più lenta rispetto al resto dell’area dell’euro, e in particolare rispetto ai Paesi periferici.

    Questo fenomeno ha avuto un impatto sui mercati finanziari, dove l’ottimismo degli investitori ha alimentato la domanda di asset provenienti da questi Paesi. In particolare, abbiamo assistito a un progressivo restringimento degli spread tra i titoli di Stato tedeschi e quelli dei Paesi periferici dell’area euro. La Grecia, dopo aver attuato una serie di riforme, è riuscita a riconquistare lo status di paese con rating investment grade. Parallelamente, Spagna e Italia hanno continuato a registrare performance superiori rispetto ai Paesi core, in gran parte grazie all’impiego dei Recovery Fund europei volti a stimolare la crescita economica nel post-pandemia.

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