Disuguaglianza di reddito
Sebbene un mercato in crescita non sia di per sé un problema, ciò ha contribuito ad accentuare le disuguaglianze negli Stati Uniti: oggi l’1% più ricco delle famiglie detiene il 31% della ricchezza totale, rispetto al 24% del 1990.2 Il forte aumento dei prezzi degli asset e della concentrazione della ricchezza ha aggravato altre sfide socioeconomiche:
- Secondo la National Association of Realtors, l’accessibilità al mercato immobiliare è ai minimi dagli anni ’80, a causa soprattutto degli alti tassi d’interesse e dei prezzi delle case cresciuti molto più dei salari.
- Anche il costo dell’istruzione universitaria ha superato di gran lunga la crescita dei salari, il che significa che un numero sempre più ristretto di individui facoltosi può permettersi l’università - e sono proprio loro ad avere maggiori opportunità per accedere ai lavori meglio retribuiti.
- I costi spropositati dell’istruzione e delle case hanno ritardato la formazione di nuovi nuclei familiari e contribuito al calo del tasso di natalità. Nel lungo periodo, questo andamento demografico rischia di avere effetti negativi sulla crescita e potenzialmente inflazionistici, a causa della carenza di manodopera e di un aumento del rapporto di dipendenza tra popolazione attiva e inattiva.
Aumento del debito
La disponibilità della banca centrale a mantenere tassi reali negativi (ovvero inferiori all’inflazione) ha favorito l’aumento della leva finanziaria nell’economia. Dopo la crisi finanziaria globale, ad esempio, molte società quotate hanno emesso debito e riacquistato azioni approfittando dei tassi reali negativi. Parallelamente, la diffusione del private equity ha rafforzato l’idea che l’indebitamento fosse la via più sicura verso rendimenti superiori corretti per il rischio. Sebbene buyback e operazioni di M&A abbiano favorito gli azionisti, questo capitale raramente è stato destinato a investimenti capaci di rafforzare l’offerta nell’economia statunitense. I bassi tassi reali hanno anche incentivato un aumento delle fusioni, con aziende che si sono ingrandite e rafforzate grazie al debito. Tuttavia, se è vero che gli investitori sono disposti a pagare multipli elevati per società con forti barriere competitive, i monopoli tendono a frenare l’innovazione e la “distruzione creatrice”, elementi fondamentali per migliorare la produttività.
Anche il settore pubblico ha approfittato dei bassi tassi reali. Dopo la pandemia, il governo statunitense ha fatto ampio ricorso al debito, mentre la Fed portava i tassi a zero e avviava un quantitative easing su larga scala. Ancora una volta, però, questo capitale non è stato impiegato per aumentare l’offerta aggregata, bensì per sostenere la domanda tramite trasferimenti diretti alle famiglie.
In sintesi, il doppio mandato ha favorito lunghe fasi di espansione economica e reso molto ricca la fascia più abbiente della popolazione. Ma ha anche generato un’economia squilibrata, segnata da forti disuguaglianze, livelli elevati di debito e scarsi investimenti in produttività.
Un nuovo obiettivo per la politica monetaria: aumentare la produttività
Arriviamo così alla mia tesi centrale: la produttività dovrebbe diventare il nuovo obiettivo della politica monetaria statunitense. Credo che questo cambio di prospettiva sosterrebbe in modo naturale il doppio mandato, poiché un’economia più produttiva può generare una crescita più robusta, migliorare gli standard di vita e favorire una bassa disoccupazione, senza alimentare l’inflazione. Col tempo, questi progressi dovrebbero contribuire anche a ridurre le disuguaglianze di reddito (grazie all’aumento dei salari) e ad abbassare i livelli di debito. Pur non disponendo di strumenti per agire direttamente sulla produttività, la Fed potrebbe intraprendere alcune azioni indirette:
- Usare gli aggiustamenti dei tassi d’interesse per creare le condizioni favorevoli agli investimenti delle imprese e all’aumento dello stock di capitale del paese - incluse infrastrutture, abitazioni ed edifici, impianti e macchinari.
- Mantenere al tempo stesso rendimenti reali (cioè al netto dell’inflazione) positivi, che incentivino il risparmio rispetto al consumo e favoriscano investimenti capaci di accrescere la produttività e generare ritorni reali sul capitale, invece che alimentare nuovo debito.
- Astenersi dal reagire automaticamente alle turbolenze dei mercati finanziari, intervenendo solo se il calo dei prezzi degli asset o problemi di liquidità minacciano di frenare la crescita degli investimenti o il credito bancario.
Per quanto questo possa sembrare un cambiamento radicale di politica monetaria, la Fed ha già in parte seguito questa linea dopo la crisi di Silicon Valley Bank: ha continuato a rialzare i tassi in un contesto di inflazione elevata, ma ha temporaneamente espanso il proprio bilancio per evitare il rischio di contagio finanziario.
Considerazioni finali
Come cambierebbe la politica della Fed con un mutamento così radicale dell’impianto di riferimento? Alla luce dei progressi compiuti nella riduzione dell’inflazione, ritengo che la Fed dovrebbe abbassare i tassi d’interesse in modo moderato, mantenendo però rendimenti reali positivi. Allo stesso tempo, dovrebbe muoversi con cautela nel ridurre o interrompere l’attuale programma di quantitative tightening. Uno dei motivi per cui l’inflazione è aumentata durante la pandemia è stato il ritmo con cui la banca centrale ha espanso il proprio bilancio, più veloce della crescita nominale. Interrompere troppo presto l’inasprimento quantitativo rischierebbe di compromettere i risultati ottenuti nel contenimento dei prezzi.
Finora l’economia statunitense ha mostrato resilienza di fronte a tassi più alti, ma questo è dipeso soprattutto da deficit fiscali persistenti e dalla spinta legata agli investimenti nell’intelligenza artificiale. Tuttavia, i settori più sensibili ai tassi, in particolare la manifattura e le piccole imprese, hanno sofferto a causa dei rendimenti a breve termine ostinatamente elevati. Secondo la National Federation of Independent Business, le intenzioni di spesa in conto capitale si trovano oggi su livelli simili a quelli della crisi deòl 2008 e dei momenti più difficili della pandemia.3 Favorendo gli investimenti delle imprese nella formazione di nuovo capitale, si dovrebbe stimolare una maggiore crescita della produttività.
Quando il doppio mandato fu introdotto nel Federal Reserve Act del 1977, rappresentava un principio guida chiaro per i responsabili delle politiche e contribuì a restituire credibilità a un’istituzione allora accusata del disastroso mix di stagnazione e inflazione di quel decennio. Quasi cinquant’anni dopo, però, le conseguenze negative del doppio mandato si sono moltiplicate e ora minacciano di riportare l’economia in una nuova fase di stagnazione. È giunto il momento che la banca centrale concentri i propri indirizzi di politica economica sull’aumento della produttività degli Stati Uniti. Così facendo, credo che la Fed non solo riuscirà a mantenere stabili prezzi e occupazione, ma contribuirà anche ad aprire una nuova era di crescita diffusa, prosperità e competitività.