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Ripensare al doppio mandato della Fed

Brij Khurana, Fixed Income Portfolio Manager
7 min di lettura
2026-09-30
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Le opinioni espresse sono quelle dell’autore alla data di redazione. Altri team potrebbero avere opinioni diverse e prendere decisioni di investimento differenti. Il valore finale dell’investimento potrebbe essere superiore o inferiore a quello dell’investimento iniziale. Sebbene i dati di terze parti utilizzati siano ritenuti affidabili, non se ne garantisce l’esattezza. Destinato esclusivamente a investitori professionali.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul Financial Times il 5 agosto 2025.

Ogni cinque anni la Federal Reserve statunitense (Fed) aggiorna il proprio “Statement on the Longer-Run Goals and Monetary Policy”, un documento che illustra come la banca centrale intenda perseguire il suo doppio mandato: massimizzare l’occupazione in coerenza con la stabilità dei prezzi. L’ultima volta che la Fed ha pubblicato questa dichiarazione è stato durante la pandemia di COVID-19, quando ha introdotto il quadro di riferimento basato sull’“average-inflation-targeting”, cioè sul targeting dell’inflazione media. Quando la banca centrale diffonderà la prossima dichiarazione entro la fine di quest’anno, dovrebbe a mio avviso riconsiderare l’impianto stesso del doppio mandato e riorientare la politica monetaria verso la massimizzazione della produttività. 

Dal 2008, infatti, la crescita annua della produttività negli Stati Uniti è rallentata all’1,6%, rispetto al 2,4% registrato nei 18 anni precedenti.1 Ritengo che puntare a una nuova accelerazione della produttività consentirebbe alla Fed di raggiungere gli obiettivi del doppio mandato, senza però gli effetti collaterali negativi che questo ha generato, come l’aggravarsi delle disuguaglianze di reddito e l’aumento dei livelli di debito. 

I limiti del doppio mandato 

Il doppio mandato è nato ufficialmente come emendamento al Federal Reserve Act nel 1977 e da allora ha guidato le decisioni di politica monetaria. Pur avendo portato alcuni benefici all’economia, ha avuto anche conseguenze negative: un peggioramento delle disuguaglianze di reddito e un incremento del debito, entrambi fattori che frenano la produttività. A mio giudizio, questa traiettoria rende necessaria una revisione del mandato. 

La capacità della Fed di modulare i tassi d’interesse per attenuare gli effetti di inflazione e disoccupazione ha permesso di stabilizzare più volte il ciclo economico, generando tre delle quattro più lunghe fasi di espansione della storia americana dalla sua adozione. La politica ha inoltre garantito alla Fed la flessibilità necessaria a intervenire nei momenti critici, evitando danni economici più gravi. Fino alla pandemia, l’inflazione era in costante calo, grazie alla globalizzazione, ai progressi tecnologici e alla diffusa convinzione che le banche centrali sarebbero intervenute con rialzi dei tassi se i prezzi fossero sfuggiti di mano. Con l’inflazione sostanzialmente sotto controllo, la banca centrale ha potuto ridurre i tassi in modo drastico e di ricorrere al quantitative easing (QE) a ogni segnale di difficoltà economica. Negli ultimi quarant’anni, la Fed è intervenuta più volte per evitare crisi, dal crollo di Long-Term Capital Management nel 1998 al fallimento di Silicon Valley Bank (SVB) nel 2023.

Questa costante prospettiva di un “paracadute” politico ha spinto molti investitori ad adottare la strategia del “buy the dip” - comprare ai ribassi - ogni volta che i prezzi degli asset scendevano, mantenendo così elevati sia i corsi azionari sia le valutazioni. Anche grazie a questa dinamica, il rapporto tra ricchezza netta delle famiglie e PIL - rimasto stabile dal 1950 in poi - è letteralmente esploso a partire dalla fine degli anni ’90 (Grafico 1).

Grafico 1

ripensare-il-mandato-della-fed

Disuguaglianza di reddito

Sebbene un mercato in crescita non sia di per sé un problema, ciò ha contribuito ad accentuare le disuguaglianze negli Stati Uniti: oggi l’1% più ricco delle famiglie detiene il 31% della ricchezza totale, rispetto al 24% del 1990.2 Il forte aumento dei prezzi degli asset e della concentrazione della ricchezza ha aggravato altre sfide socioeconomiche:

  • Secondo la National Association of Realtors, l’accessibilità al mercato immobiliare è ai minimi dagli anni ’80, a causa soprattutto degli alti tassi d’interesse e dei prezzi delle case cresciuti molto più dei salari.
  • Anche il costo dell’istruzione universitaria ha superato di gran lunga la crescita dei salari, il che significa che un numero sempre più ristretto di individui facoltosi può permettersi l’università - e sono proprio loro ad avere maggiori opportunità per accedere ai lavori meglio retribuiti. 
  • I costi spropositati dell’istruzione e delle case hanno ritardato la formazione di nuovi nuclei familiari e contribuito al calo del tasso di natalità. Nel lungo periodo, questo andamento demografico rischia di avere effetti negativi sulla crescita e potenzialmente inflazionistici, a causa della carenza di manodopera e di un aumento del rapporto di dipendenza tra popolazione attiva e inattiva. 

Aumento del debito 

La disponibilità della banca centrale a mantenere tassi reali negativi (ovvero inferiori all’inflazione) ha favorito l’aumento della leva finanziaria nell’economia. Dopo la crisi finanziaria globale, ad esempio, molte società quotate hanno emesso debito e riacquistato azioni approfittando dei tassi reali negativi. Parallelamente, la diffusione del private equity ha rafforzato l’idea che l’indebitamento fosse la via più sicura verso rendimenti superiori corretti per il rischio. Sebbene buyback e operazioni di M&A abbiano favorito gli azionisti, questo capitale raramente è stato destinato a investimenti capaci di rafforzare l’offerta nell’economia statunitense. I bassi tassi reali hanno anche incentivato un aumento delle fusioni, con aziende che si sono ingrandite e rafforzate grazie al debito. Tuttavia, se è vero che gli investitori sono disposti a pagare multipli elevati per società con forti barriere competitive, i monopoli tendono a frenare l’innovazione e la “distruzione creatrice”, elementi fondamentali per migliorare la produttività. 

Anche il settore pubblico ha approfittato dei bassi tassi reali. Dopo la pandemia, il governo statunitense ha fatto ampio ricorso al debito, mentre la Fed portava i tassi a zero e avviava un quantitative easing su larga scala. Ancora una volta, però, questo capitale non è stato impiegato per aumentare l’offerta aggregata, bensì per sostenere la domanda tramite trasferimenti diretti alle famiglie. 

In sintesi, il doppio mandato ha favorito lunghe fasi di espansione economica e reso molto ricca la fascia più abbiente della popolazione. Ma ha anche generato un’economia squilibrata, segnata da forti disuguaglianze, livelli elevati di debito e scarsi investimenti in produttività. 

Un nuovo obiettivo per la politica monetaria: aumentare la produttività

Arriviamo così alla mia tesi centrale: la produttività dovrebbe diventare il nuovo obiettivo della politica monetaria statunitense. Credo che questo cambio di prospettiva sosterrebbe in modo naturale il doppio mandato, poiché un’economia più produttiva può generare una crescita più robusta, migliorare gli standard di vita e favorire una bassa disoccupazione, senza alimentare l’inflazione. Col tempo, questi progressi dovrebbero contribuire anche a ridurre le disuguaglianze di reddito (grazie all’aumento dei salari) e ad abbassare i livelli di debito. Pur non disponendo di strumenti per agire direttamente sulla produttività, la Fed potrebbe intraprendere alcune azioni indirette: 

  • Usare gli aggiustamenti dei tassi d’interesse per creare le condizioni favorevoli agli investimenti delle imprese e all’aumento dello stock di capitale del paese - incluse infrastrutture, abitazioni ed edifici, impianti e macchinari.
  • Mantenere al tempo stesso rendimenti reali (cioè al netto dell’inflazione) positivi, che incentivino il risparmio rispetto al consumo e favoriscano investimenti capaci di accrescere la produttività e generare ritorni reali sul capitale, invece che alimentare nuovo debito.
  • Astenersi dal reagire automaticamente alle turbolenze dei mercati finanziari, intervenendo solo se il calo dei prezzi degli asset o problemi di liquidità minacciano di frenare la crescita degli investimenti o il credito bancario. 

Per quanto questo possa sembrare un cambiamento radicale di politica monetaria, la Fed ha già in parte seguito questa linea dopo la crisi di Silicon Valley Bank: ha continuato a rialzare i tassi in un contesto di inflazione elevata, ma ha temporaneamente espanso il proprio bilancio per evitare il rischio di contagio finanziario.

Considerazioni finali

Come cambierebbe la politica della Fed con un mutamento così radicale dell’impianto di riferimento? Alla luce dei progressi compiuti nella riduzione dell’inflazione, ritengo che la Fed dovrebbe abbassare i tassi d’interesse in modo moderato, mantenendo però rendimenti reali positivi. Allo stesso tempo, dovrebbe muoversi con cautela nel ridurre o interrompere l’attuale programma di quantitative tightening. Uno dei motivi per cui l’inflazione è aumentata durante la pandemia è stato il ritmo con cui la banca centrale ha espanso il proprio bilancio, più veloce della crescita nominale. Interrompere troppo presto l’inasprimento quantitativo rischierebbe di compromettere i risultati ottenuti nel contenimento dei prezzi.

Finora l’economia statunitense ha mostrato resilienza di fronte a tassi più alti, ma questo è dipeso soprattutto da deficit fiscali persistenti e dalla spinta legata agli investimenti nell’intelligenza artificiale. Tuttavia, i settori più sensibili ai tassi, in particolare la manifattura e le piccole imprese, hanno sofferto a causa dei rendimenti a breve termine ostinatamente elevati. Secondo la National Federation of Independent Business, le intenzioni di spesa in conto capitale si trovano oggi su livelli simili a quelli della crisi deòl 2008 e dei momenti più difficili della pandemia.3 Favorendo gli investimenti delle imprese nella formazione di nuovo capitale, si dovrebbe stimolare una maggiore crescita della produttività. 

Quando il doppio mandato fu introdotto nel Federal Reserve Act del 1977, rappresentava un principio guida chiaro per i responsabili delle politiche e contribuì a restituire credibilità a un’istituzione allora accusata del disastroso mix di stagnazione e inflazione di quel decennio. Quasi cinquant’anni dopo, però, le conseguenze negative del doppio mandato si sono moltiplicate e ora minacciano di riportare l’economia in una nuova fase di stagnazione. È giunto il momento che la banca centrale concentri i propri indirizzi di politica economica sull’aumento della produttività degli Stati Uniti. Così facendo, credo che la Fed non solo riuscirà a mantenere stabili prezzi e occupazione, ma contribuirà anche ad aprire una nuova era di crescita diffusa, prosperità e competitività.

US Bureau of Labor Statistics. | 2 Board of Governors of the US Federal Reserve System. | “NFIB Monthly Economic Newsletter”, NFIB Research Center, giugno 2025. 

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