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Dieci nuovi scenari ipotetici per il 2022

Adam Berger, CFA, Head of Multi-Asset Strategy
2023-02-28
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Le opinioni espresse sono quelle degli autori alla data di redazione. Altri team di gestione possono esprimere opinioni differenti e prendere decisioni di investimento diverse. Il valore finale dell’investimento potrà essere superiore o inferiore a quello dell’investimento iniziale. I dati di terzi utilizzati nel presente documento sono considerati affidabili, tuttavia la loro accuratezza non è garantita.

In una delle sue recenti pubblicazioni, Adam Berger, Multi-Asset Strategist, ha illustrato una serie di potenziali esiti macroeconomici e di mercato su argomenti quali inflazione, mercato azionario ribassista e rischi normativi in Cina.

Uno degli ipotetici scenari, ovvero l’invasione russa dell’Ucraina, si sta ovviamente già verificando davanti ai nostri occhi. Adam ritiene che la geopolitica rappresenterà una considerevole fonte di volatilità nel breve termine, ma il maggior rischio di conflitto (per i mercati) sarebbe dato dal fatto che l’impatto inflazionistico dovuto all’aumento dei prezzi energetici e l’impatto delle sanzioni sulla crescita renderebbero più difficile per la Fed, e le altre banche centrali, gestire la politica monetaria e concepire un soluzione per l’economia. Resta ottimista che le autorità coinvolte riescano ad adeguare sia la politica monetaria che rallentare l’inflazione senza dover porre freno alla crescita, ma il rischio è indubbiamente più elevato ora rispetto alla fine del 2021.

Adam approfondisce 10 argomenti che stanno destando l’interesse degli investitori, tra cui la carenza di manodopera, le criptovalute, il mercato delle IPO e le assunzioni dei mercati dei capitali nel lungo termine.

1. Cosa succederebbe se continuassimo a vedere una mancanza di partecipazione alla forza lavoro?

Lo considero un rischio reale nel breve termine, anche se credo che nel più lungo periodo si attenuerà. La debolezza dell’offerta di lavoro statunitense potrebbe derivare da una combinazione di baby boomer che hanno colto il COVID come opportunità di prepensionamento; lavoratori più giovani che usano i loro assegni di sussidio per approfittare di una pausa lavorativa; e ancora lavoratori che stanno rivedendo la natura del loro impiego dopo un’estesa esperienza COVID durante la quale il lavoro è divenuto “ibrido” o “da casa”. Inoltre, il mio collega Macro Strategist Mike Medeiros ha notato come, parallelamente a questi fattori connessi al COVID/ciclici, siano in azione alcuni fattori strutturali, tra cui un deficit di immigrazione di circa 3.2 milioni di lavoratori negli ultimi cinque anni.

Questa combinazione di fattori potrebbe determinare l’inflazione salariale nel breve termine, ma, nel più lungo termine, sospetto ci sarà un profondo bacino di lavoratori “ombra” (tra cui, forse, anche alcuni baby boomer “pensionati”) che si immetteranno nuovamente nella forza lavoro con l’aumentare dei salari o del costo della vita (o entrambi).

2. Cosa succederebbe se raggiungessimo il punto di sazietà/“dolore” per i consumatori finali sull’inflazione dei beni?

Credo che in questo caso ci sia del margine, viste le pressioni salariali statunitensi e i risparmi delle famiglie, grazie ai sussidi dello scorso anno. Sono anche ottimista sul fatto che i consumatori vedranno l’inflazione come relativamente transitoria e legata alle difficoltà di approvvigionamento indotte dal COVID e (se vedremo più inflazione nel 2022) un eccesso post-COVID di domanda di servizi (ristorazione, viaggi, intrattenimento) che le persone avevano rimandato durante i lockdown. L’aumento dei prezzi energetici sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina può aggravare tale rischio, ma credo che anche questo sarà visto come un evento isolato piuttosto che parte di un modello più ampio.

Il rischio è che i consumatori inizino a includere nei loro piani un’inflazione persistente e a lungo termine del 3% o più, nel qual caso il comportamento potrebbe cambiare e il rischio di una spirale salari-prezzi potrebbe aumentare. Ma penso che potremmo sopravvivere a episodiche stampe di inflazione elevata, anche del 5% e oltre, fino al 2022, senza che si verifichi il caso peggiore. Sono più preoccupato che condizioni monetarie e soprattutto fiscali troppo espansive possano far permanere l’inflazione fino al 2023 o oltre. C’è anche il rischio che i consumatori con redditi più modesti (e altri che hanno avuto bisogno di usare qualsiasi beneficio di stimolo ricevuto durante il COVID) siano più vulnerabili all’inflazione a breve termine.

3. Cosa succederebbe se un’economia sviluppata integrasse pagamenti basati sulle criptovalute nell’economia più ampia?

Credo che ciò rappresenterebbe un’opportunità per la tecnologia blockchain e le compagnie innovative nel settore dei pagamenti, in quanto ritengo che questo accadrebbe solo con criptovalute in qualche modo sponsorizzate/approvate/emesse da una banca centrale nazionale. Questo tipo di cambiamento sprigionerebbe una realtà di efficienze nel settore dei servizi finanziari. Se una criptovaluta non legata al governo (ad esempio, il bitcoin) prendesse piede, ci potrebbero anche essere delle opportunità, ma sarei preoccupato per i rischi, sia tecnologici (hacking di uno strumento che non ha un garante o uno sponsor) che finanziari (volatilità rispetto ad altri asset o titoli di investimento). Alcuni dei miei colleghi hanno opinioni un po’ più rialziste. Per esempio, Ranjit Ramachandran, Equity Research Analyst, è più rialzista sul ruolo che potrebbero giocare le criptovalute open source.

4. Cosa succederebbe se i mercati emergenti continuassero a rimanere indietro rispetto a quelli sviluppati per quel che concerne le riaperture post-COVID?

Mi preoccupa l’impatto del COVID sui mercati emergenti, in particolare sulla Cina, dove non è chiaro se la politica “zero COVID” possa reggere e, anche se lo facesse, le ripercussioni economiche nel 2022 potrebbero essere notevoli. Il mio collega Santiago Millán sottolinea che, a oggi, l’approccio cinese potrebbe aver apportato alcuni benefici, dato che la catena di approvvigionamento manifatturiero ha dato prova di buona tenuta e la Cina ha guadagnato quote di mercato nella produzione globale durante la pandemia. Il punto è piuttosto che la Cina potrebbe ritardare in maniera eccessiva il porre fine alla sua politica zero COVID (portando a un’inversione dei suddetti benefici) o forse che la conclusione stessa di questo suo approccio potrebbe creare un esito negativo in termini economici e di salute pubblica.

Mi preoccupo anche delle sfide a cui devono far fronte i mercati emergenti per poter recuperare i ritardi rispetto ai vaccini. La tesi rialzista (che forse sta diventando quella di riferimento) è che Omicron favorisca una parità di condizioni, permettendo alle economie una piena riapertura per via dell’immunità di gregge (anche se ciò presuppone il non emergere di altre varianti importanti dopo Omicron). Ciò potrebbe rivelarsi una spinta fortemente rialzista per i mercati emergenti e determinare una maggiore crescita economica e una solida performance di mercato. Ma se i mercati emergenti finissero con il restare indietro rispetto a quelli sviluppati in termini di riaperture, i loro mercati (del debito e azionari) potrebbero registrare performance deludenti per un anno o due, mentre il premio al rischio richiesto dagli investitori resterebbe elevato.

5. Cosa succederebbe se proseguisse l’enorme flusso di capitali verso il private equity?

Questo non mi sconvolgerebbe affatto, dato che i proprietari di asset hanno bisogno di rendimenti elevati e, in base alle informazioni che ho, mi sembra rimangano molto concentrati sul private equity come fonte potenziale di tali rendimenti. Ma la domanda che mi pongo è se il massiccio flusso di capitali potrebbe, alla fine, smorzare quei rendimenti, con troppi soldi a inseguire troppe poche opportunità. Penso che il messaggio chiave sia quello di essere selettivi. Come discusso in precedenza, potrebbe essere opportuno prediligere aree “di nicchia” nel mercato privato. Ciò potrebbe voler dire individuare gestori che stanno facendo qualcosa di originale nel perseguire un premio al rischio di liquidità, per esempio.

6. Cosa succederebbe se il vivace mercato IPO dovesse far fronte a un prolungato periodo di scetticismo?

Abbiamo sicuramente visto come le IPO (offerte pubbliche iniziali) possano attraversare momenti più o meno favorevoli, ma quando questo mercato si interrompe, in genere non succede a lungo o completamente. I volumi possono diminuire, ma le società solide arrivano comunque a quotarsi. Nel complesso, non credo che un rallentamento dell’attività IPO rappresenterebbe necessariamente una crisi per i mercati. Vale la pena ricordare che un mercato IPO attivo è tipicamente una fonte di pressioni di vendita: le persone stanno vendendo qualcos’altro per acquistare una nuova IPO. Pertanto, in assenza di nuovo capitale che arriva nel mercato, un numero inferiore di IPO significa in qualche modo una pressione al ribasso inferiore sui mercati. Un periodo più lento per le IPO costringerebbe inoltre le imprese a restare private più a lungo, e queste ultime avrebbero bisogno di più capitale privato per continuare a crescere, creando un’opportunità per gli investitori.

7. Cosa succederebbe se i repubblicani negli Stati Uniti riguadagnassero la Camera dei rappresentanti e il Senato nel 2022?

Questo scenario sembra molto probabile, in base ai dati dei sondaggi e alle ricerche che ho avuto modo di vedere. Il risultato più rilevante sarebbe, a mio avviso, che ciò limiterebbe il grado di stimolo fiscale ancora da venire. Abbiamo visto che un governo diviso è stato in grado di proporre ampi stimoli durante la crisi del COVID, ma non credo ne vedremo molti di più, specialmente nel mezzo di un rimbalzo economico. Questo, a sua volta, porrebbe probabilmente un limite a una delle principali fonti di rischio di inflazione potenziale. Quindi, in questo senso, sono molto favorevole all’opinione che un governo diviso non rappresenterebbe necessariamente un elemento negativo per i mercati e per i detentori di azioni in particolare.

8. Cosa succederebbe se la Cina si muovesse in modo aggressivo su Taiwan?

Thomas Mucha, Geopolitical Strategist, ritiene che la prospettiva di un’invasione sia in questo momento remota, anche se individua un “rischio modesto ma reale di un conflitto militare occidentale” in un contesto di tensioni elevate intorno allo Stretto di Taiwan. Thomas non pensa che l’attuale conflitto Russia/Ucraina abbia aumentato la probabilità di una mossa aggressiva. È molto più preoccupato della lenta escalation delle tensioni di lungo periodo tra Stati Uniti e Cina come potenze rivali. A mio avviso, i mercati globali reagirebbero molto male a una mossa aggressiva da parte della Cina, analogamente alla reazione dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1991 anche se, in questo caso, non sono sicuro che la situazione si risolverebbe in modo altrettanto rapido.

9. Cosa succederebbe se le capital market assumptions (CMA) di lungo periodo restassero di gran lunga inferiori rispetto alle medie storiche?

Una domanda importante che molti investitori si stanno ponendo. Il nostro Investment Strategy Team pubblica CMA di lungo termine su due orizzonti: 10 anni e 30-40 anni. Le elaboriamo stimando il reddito (e, per l’azionario, il rendimento da dividendo), la crescita dei fondamentali (per l’azionario, la crescita degli utili per azione) e le variazioni delle valutazioni. Viste le variazioni registrate storicamente sui rendimenti decennali, non dovremmo essere sorpresi di vedere le previsioni sui dieci anni al di sotto dello storico di lungo periodo, specialmente quando le valutazioni sono elevate rispetto alla storia, come nel caso attuale. Data la nostra metodologia, le previsioni sui 30-40 anni dovrebbero corrispondere con maggior probabilità alle medie storiche sul lungo periodo, ma anche in questo caso le nostre aspettative di crescita futura degli utili (che potrebbero non corrispondere alla notevole corsa registrata negli Stati Uniti tra il 1920 e il 2020) e il rendimento da dividendo (di gran lunga inferiore attualmente alla media sul lungo termine) possono spingere queste previsioni al di sotto della storia di lungo periodo. Ovviamente, la domanda per gli investitori è come colmare quel divario.

10. Cosa succederebbe se l’impatto a lungo termine dei prestiti del governo federale rappresentasse un rischio maggiore di quanto previsto dal mercato?

Tale questione alimenta numerosi dibattiti, ma al margine, penso che la “soluzione” per gestire la nostra via d’uscita dal massiccio debito pubblico includa probabilmente un certo grado di inflazione futura, anche se non necessariamente, si spera, un ritorno alla crescita dei prezzi in stile anni ’70. Questo pensiero si riflette nella mia aspettativa a 10 anni di un’inflazione del 2% – 3% (contro l’1% – 2% dell’ultimo decennio o più) e mi fa preoccupare un po’ della possibilità di un rischio di coda che potrebbe essere peggiore. Detto questo, è possibile che se la crescita economica fosse più elevata del tasso di interesse sul prestito del governo, il debito in rapporto al PIL potrebbe ridursi anche nel mezzo di un sostanziale prestito del governo, e forse questo rappresenterebbe un approccio alternativo per ridurre il nostro indebitamento. (Naturalmente, questo scenario presuppone il mantenimento di tassi di interesse a livelli molto contenuti senza scatenare l’inflazione).


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